di Monica Piolanti
Alla voce “riforma”, il dizionario registra quanto segue: “modifica, trasformazione di uno stato di cose, di un’istituzione, di un ordinamento, allo scopo di migliorarli”. Ma siamo proprio sicuri che tutte le modifiche portino a risultati migliori? Perché il Ministro potrebbe anche avere buone intenzioni, ma i “mezzi” che ha scelto per migliorare la scuola attuale lasciano perplessi gli uomini di scuola, gli esperti e gli stessi cittadini italiani.
Gli scopi reconditi vanno, a mio giudizio, ricercati nel tentativo di questo governo di azzerare la storia, ritornando a prima del 1968, anno cruciale che starebbe all’origine di tutti i mali, di cui soffrirebbe oggi il nostro Paese.
Se infatti andiamo a considerare, relativamente alla sola Scuola del I Ciclo d’Istruzione, le scelte riformatrici del Ministro, troveremo che il comune denominatore di ogni provvedimento è un atto d’imperio, che punta al conseguimento di questo obiettivo: “La ricreazione è finita”.
Lo slogan si richiama a un noto best-seller degli anni ’80, dovuto all’insigne pedagogista Norberto Bottani, e rende perfettamente lo spirito del Piano di Riforma Valditara che si sta delineando all’orizzonte.
Più che una Riforma andrebbe definita col termine di “Restaurazione”. Perché della Restaurazione “storica” ha tutti i caratteri: è un atto d’imperio, calato dall’alto ignorando i più elementari principi di una democrazia, a meno che non si tratti di una “democrazia populistica” e plebiscitaria!
Ma vediamo quali sono gli ingredienti di questa “operazione nostalgia” che vengono spacciati per “riforma”.
Un sommario elenco, pensando in particolare alla Scuola del I Ciclo, sottolinea:
– un’idea di cultura trasmissiva, selettiva, gentiliana, tradizionalista, eurocentrica, ottocentesca e nazionalista;
-una visione delle materie a compartimenti stagni in cui non si evidenzia in maniera chiara la verticalità e la continuità dei “campi di esperienza” e delle “discipline”;
-un tentativo subdolo di indottrinamento con la storia a partire dalla più tenera età;
– reintroduzione del voto di condotta e dell’educazione civica;
-ritorno dello studio delle poesie a memoria e della scrittura a mano (calligrafia);
–reintroduzione del latino (strumento fondamentale per sviluppare il ragionamento e la logica) disciplina facoltativa a partire dalla seconda classe delle medie;
–valorizzazione dei talenti e del merito;
-l’azzeramento di tutte le innovazioni avvenute negli ultimi 50 anni grazie alla ricerca e alle sperimentazioni effettuate nelle scuole e ai contributi di grandi psicologi e pedagogisti italiani ed esteri;
-l’idea che la storia debba essere insegnata sotto forma di narrazione di aneddoti e non più basandosi sulle fonti mediante attività laboratoriali (da sapere scientifico a sapere ideologico);
-l’introduzione dello studio nella scuola pubblica di testi classici come la Bibbia, l’Eneide e l’Odissea;
-la cultura dell’ordine, della regola, della gerarchia verticale (come nei confronti dell’insegnante come “magis”) e del principio di autorità;
–ripristino dei voti numerici (scuola secondaria) e ritorno ai giudizi sintetici da “ottimo” a “non sufficiente” (scuola primaria);
-drastica riduzione del numero degli insegnanti e del personale ATA;
-tagli sul numero delle classi e innalzamento del numero degli alunni per classe, con relativa diminuzione del “diritto all’apprendimento” e al “successo formativo” per tutti, stranieri e disabili compresi.
E si potrebbe continuare all’infinito… Ripensando alla stringata rassegna sopra descritta, si impongono alcune riflessioni. Globalmente considerato, il piano di Riforma Valditara, così come si sta configurando, peraltro non ancora ultimato perché sono in dirittura d’arrivo le Indicazioni Nazionali per la Scuola Superiore, appare più come un ammasso di provvedimenti tampone, mancanti di una visione d’insieme, di un progetto autonomo, funzionale alle esigenze della società italiana attuale, che è società “inedita” rispetto al passato, e che pertanto non può essere governata dalle vecchie regole. O noi ammettiamo che la democrazia partecipativa è stata un fallimento e che, pertanto, occorre sostituirla con una democrazia decisionista, rappresentativa del consenso ottenuto con il voto, oppure diviene inaccettabile l’imposizione di riforme che calano dall’alto e che sono espressione di un “pensiero unico”.
Non si può, a mio avviso, governare tacitamente un’istituzione come la Scuola! Non si può e non si deve, se si crede al diritto di tutti, dirigenti, insegnanti, genitori, alunni, di esprimere una diversità di opinione e di critica costruttiva. Quello che, nella Riforma Valditara, è maggiormente inaccettabile è la mancanza di “stile democratico”. E come dice Dante è “il modo che offende” la dignità della condizione docente e discente.
Oggi più che in passato, pur essendo in presenza di tanti “abusi”, non ci si può scrollare di dosso il dovere del rispetto, perché in caso contrario, si sfocia nell’arroganza del potere, esercitato d’autorità, ma non condiviso!
E quando una Riforma non è condivisa da quanti si trovano a doverla attuare, non può che cogliere frutti amari. Che la scuola italiana, e specialmente la secondaria, sia da riformare è cosa risaputa e da tempo auspicata. Che si dovesse ritornare a Gentile per migliorarla è cosa, forse, più discutibile.
Perché di questo si tratta. I toni e i modi della Riforma Valditara rimandano a quel modello, che ritenevamo ormai desueto. E invece… Ma con ciò che viene spacciato come un mezzo per ridare serietà alla scuola, soltanto perché si fa la voce “grossa”, si ritorna allo autoritarismo, disprezzando il diritto costituzionale, che sottolinea invece la dignità delle persone, che non possono essere ignorate sui problemi più gravi. Se, invece, si vuole approdare alla “qualità”, bisogna percorrere ben più sofisticati binari. L’Europa da tempo li viene indicando! Non è obbedendo alle regole dell’economia, che si può migliorare la politica! E quello della riforma della scuola è un problema “politico”, una questione che deve fare i conti con una società, ben più complessa di quella che il Ministro Valditara ha considerato.
La storia ci insegna che le “restaurazioni” portano a lungo andare alle “rivoluzioni”. Chissà se il Ministro ha considerato tutto questo! Se si vuole veramente “riformare”, nel senso di “migliorare”, c’è un’altra strada: quella della “formazione a largo spettro”. Una formazione che deve investire parimenti i docenti e le famiglie, i dirigenti e il personale della scuola in genere. Perché in una democrazia matura i problemi non si risolvono “con la scure” e “le forbici”, simboli di una massoneria di vecchio stampo, ma con le armi del dialogo, del confronto, in un clima di reciproco rispetto, che alluda alla dignità e responsabilità di quanti sono chiamati al miglioramento delle istituzioni. Abbiamo ancora tanto da imparare dal nostro GRANDE “Riformatore mite”, Giancarlo CERINI, ideatore della interessante metafora della “Ballata Popolare”.
Il “pedagogista errante” aveva ben compreso che per riformare la “Scuola della Repubblica”, occorreva dare un programma politico, capace di essere “ascensore sociale” garantendo le uguaglianze delle opportunità; credeva fermamente che la vera Riforma della Scuola non poteva essere opera di pochi pensatori calata dall’alto, ma doveva DAL BASSO ESSERE OPERA DI TUTTI!