di Mario Ambel
Sono finalmente uscite.
Corroborato dall’esito del referendum e in particolare dal non entusiastico risultato del quesito referendario sulla “cittadinanza”, il Ministro ha emanato le “Indicazioni nazionali 2025”, che certamente hanno fra i loro tratti caratterizzanti una particolare e demagogica attenzione a tematiche, prospettive identitarie e finalità strategiche funzionali a mettere in difficoltà le alunne e gli alunni di origine straniera e a renderne più ardua l’integrazione e l’inclusione, [oltre che a confortare il ventre molle di una parte del paese che, con motivazioni diverse, mal sopporta l’ “invasione” extracomunitaria e teme la “sostituzione etnica” – NdR].
Ma veniamo a qualche cenno sulle eventuali differenze fra questo testo e la versione a suo tempo definita “Materiali per il dibattito pubblico”, sulla quale si è esercitata in questi mesi la nutrita serie di analisi, confutazioni, disamine critiche, richieste di abrogazioni o ritiri da parte dell’accademia, delle associazioni sindacali e professionali, di singoli esperti e docenti e poi, via via, di scuole e reti di scuole, che hanno delineato un quadro di forte e motivata opposizione a quel testo. Nonché di volontà di non assecondarne l’applicazione.
Come si ricorderà, le critiche si concentravano su tre differenti livelli:
a) la presenza di una debordante e illegittima serie di suggerimenti metodologici, esempi, “ibridazioni tecnologiche”, che non ci dovevano stare perché estranee al mandato e ai limiti istituzionali che competono per legge alla stesura delle “Indicazioni nazionali”;
b) le molte incongruenze contenute nelle parti per così dire istituzionali e legittime da parte di “Indicazioni nazionali”, in base alle normative vigenti (profili, obiettivi generali e specifici) e con i quali si deve confrontare la capacità e l’autonomia progettuale delle scuole;
c) la natura smaccatamente ideologica e di parte dell’idea di scuola, di insegnante, di bambino e soprattutto delle singole discipline veicolata dal testo precedente, che ancorché possa essere in parte di competenza dello Stato (ma bisognerebbe averne anche un po’ più chiari i limiti e le fonti di legittimazione) implica una serie di complicati problemi di applicabilità.
Vediamo a grandi linee se e che cosa è cambiato nel nuovo testo: a volo d’uccello [tra skimming e scanning, come si dice negli ambiti invisi a questa Commissione, NdR] poiché francamente di ulteriori analisi di dettaglio scappa un po’ la voglia, vista anche la scarsa attenzione con la quale sono state prese in considerazione le ampie, argomentate e documentate analisi di cui si è detto.
Le parti illegittime.
Qui bisogna segnalare un dato rilevante. Anche se su questo aspetto non si è esercitata una sufficiente richiesta di abrogazione da parte del movimento di contestazione dal basso del documento precedente, va rilevato che la differenza più significativa tra le due versioni è l’avvenuta cassazione della parte là denominata “Traiettorie per l’innovazione”, che conteneva “Conoscenze” (recuperate e collocate nelle discipline), “Suggerimenti metodologico-didattici”, “Suggerimenti o esempi di moduli interdisciplinari di apprendimento” e i fantasiosi “Suggerimenti di possibili ibridazioni tecnologiche del curricolo”).
Qualcosa si è ottenuto! Questa cancellazione, oltre ad aver ridotto sensibilmente la quantità di pericolose stupidaggini presenti nella prima versione, evita un vulnus normativo assai rilevante, poiché quelle parti erano in netto contrasto con il dettato costituzionale e le norme relative alla professionalità docente e all’autonomia scolastica. È probabile che alcuni consulenti del Ministro (la cui competenza istituzionale è indubbia, almeno tra quelli a suo tempo declarati, anche se non compaiono fra i responsabili del testo- NdR) abbiano avuto una repipiscenza di coerenza istituzionale e abbiano convinto il Ministro che, così com’era, il testo poteva essere istituzionalmente messo in forte dubbio di legittimità.
Toccherà ora alle case editrici non cadere nel tranello di far rientrare dalla finestra quanto è stato cacciato fuori dalla porta. Soprattutto sulle “ibridazioni tecnologiche” bisognerà fare attenzione che le case editrici non traggano ispirazione da quel testo per proporre una visione e una pratica dell’innovazione tecnologica assai poco finalizzata all’emancipazione individuale e collettiva e alla corretta salvaguardia di diritti e tutele.
Finalità, Profili, Obiettivi.
Qui si tratterà di analizzare con molta attenzione (da parte delle singole istituzioni scolastiche) quanto proposto dal nuovo testo (si discosta poco dal precedente, incongruenze comprese) in termini di coerenza, praticabilità, applicabilità. Per esempio sulla permanente e massiccia presenza di “conoscenze”, che comunque danno una marcata impronta contenutistica e trasmissiva, senza per altro eludere la prospettiva “abilista” e adattiva data dai molti obiettivi a tratti assillanti e di cui si tratta di sondare la congruenza con le “competenze attese”, soprattutto se i primi dovessero diventare il punto di riferimento della valutazione (come sciaguratamente già troppo spesso avviene) e quindi di fatto della progettazione in una scuola che, anche senza saperlo, continua ad applicare in modo marcatamente eccessivo la “programmazione a ritroso”, che tende a progettare a partire dai micro-obiettivi e non da visioni coerenti e strategiche delle finalità disciplinari e trasversali (più affini alle competenze).
Le scelte di parte
Permane la visione smaccatamente di parte dell’idea di scuola, di insegnante-magister, di relazione scuola-famiglia, dell’inclusione di tutte le differenze e disuguaglianza, e infine delle discipline e del “perché” insegnarle. Non sembra sia cambiato molto al riguardo. Del resto è ciò cui il Ministro e la Coordinatrice della Commissione hanno rivendicato di puntare: sovvertire (o invertire se si preferisce) la direzione di marcia e l’orientamento culturale della scuola italiana, così come si è andata configurando a partire dalla metà degli anni Settanta.
Non cambia nulla al riguardo. Ne ricordiamo alcuni tratti poiché molto si è detto e argomentato da infinite parti al riguardo. E tanto vale farlo in modo ironico e marcatamente politico, poiché ai modi più scientificamente motivati il Ministro non pare essere interessato e sensibile.
Si tranquillizzino dunque i patrioti insegnanti di storia: l’ “Occidente rimane l’unico a conoscere la storia” [e a praticarla, per esempio nella striscia di Gaza – NdR]; purtroppo la scomparsa del suggerimenti metodologici ci fa perdere Muzio Scevola e Menenio Agrippa, ma, nei contenuti della I e II primaria i “Racconti del Risorgimento (p. es.: gli incarcerati nello Spielberg, le cinque giornate di Milano, i martiri di Belfiore, “La piccola vedetta lombarda”, Anita Garibaldi, i Mille)” vengono integrati con, udite udite, “la Resistenza”, ancorché mitigata dalla comparsa degli eroici esempi di bambini soldato del solito De Amicis patriottardo (non quello socialista della “Maestrina degli operai”, troppo di sinistra: “Racconti ricavati dalle vicende del Risorgimento e della Resistenza a scelta degli insegnanti e collegati a riferimenti territoriali e all’esperienza dei bambini (es. Piccola vedetta lombarda, i martiri del Belfiore, le 5 Giornate di Milano, Anita Garibaldi, Salvo d’Acquisto, altri protagonisti di eroismo e di virtù civili nella Resistenza).” [E anche qui credo sia sempre escluso un riferimento ai bambini di Gaza, il cui contributo all’evoluzione della civiltà occidentale è senza dubbio tragicamente eroico, ma in un altro senso. NdR].
E si tranquillizzino anche gli insegnanti di italiano amanti del bello scrivere italico. Sono rimasti i riferimenti alla grammatica, alle regole e alle fantomatiche “classi colte” nelle “Indicazioni” di italiano, dove fa la sua comparsa la calligrafia, ritorna con forza il riassunto (un vero e proprio mantra delle ingerenze-ignoranze politiche sulla scuola) e subisce una trasformazione-adattamento l’ “analisi logica”: poiché scompare tutta l’ampia trattazione che se ne faceva tra i “suggerimenti metodologici”, tra gli “Obiettivi specifici di apprendimento al termine della classe terza” tra il “Il lessico” e “La frase e la sua struttura” compaiono alcuni obiettivi inediti di “L’analisi logica”, tra i quali spicca un “Riconoscere errori e fallacie logiche”, che non si capisce se è un contentino ai critici dell’insegnamento della grammatica tradizionale.
Tanto per rimanere su minuzie, visto che sulle questioni più gravi si è già detto molto nei mesi scorsi e poi questo è un tipico terreno di continuità: da tempo, in fatto di grammatica, si predica serietà e rigore e si pratica la filosofia di un colpo al cerchio e l’altro alla botte… E’ uno dei tanti casi sui quali, purtroppo, le Dieci Tesi non hanno fatto scuola, a gran vantaggio delle pratiche dei loro sempiterni detrattori.
Una fase nuova e delicata.
Ora forse alcune o molte scuole si adegueranno a queste Indicazioni o cercheranno di far finta che non esistono o di aggirarle continuando a fare quello che hanno sempre fatto. Forse, alcuni (molti?) docenti, come in alcuni sondaggi rimbalzati in questi giorni dal Ministero sulle ossequiose gazzette, generaliste e specialiste, saranno pure contenti di applicarle. Ma resta un problema serio. Seppure anche nella scuola (ma credo che le cose stiano diversamente) dovessimo registrare un terzo di “elettori-docenti” più o meno di centrodestra, un terzo di “elettori” più o meno di centro sinistra e un terzo di “elettori” dediti alla fruizione della macchinetta del caffè… ebbene, non ha nessuna fonte di legittimazione e di senso, che la storia che si insegna nella scuola italiana sia da parte di tutti la storia così come la vede il prof.ssor Galli Della Loggia o che la pedagogia pre-dominante sia quella della Prof.ssa Perla.
E soprattutto bisogna spiegare quali sono i margini di autonomia e di libertà professionale alle scuole e alle e ai singoli docenti che non hanno nessuna intenzione di applicare queste indicazioni e che si organizzeranno giustamente nella progettazione di curricoli alternativi e non obbedienti.
E c’è anche un altro problema. Io personalmente non decido più l’iscrizione di nessun “utente”, ma non mi sognerei mai di iscrivere o di suggerire l’iscrizione di qualcuna/o a una scuola che abbia intenzione di applicare queste Indicazioni, perché, per la prima volta da quando la frequento con cognizione di causa (il 1975) non ne riconosco i tratti di scuola pubblica della Repubblica, coerente con la Costituzione italiana.
Tutta la vicenda di queste Indicazioni pone un problema inedito per la storia della scuola repubblicana, che non può essere eluso o nei cui confronti adottare la politica dello struzzo. Il fatto di aver vinto le elezioni non autorizza e non legittima questa maggioranza a imporre alla scuola pubblica di Stato la sua visione delle cose, del mondo e della scuola.
A meno che non voglia trasformarla in una scuola di regime. E, di conseguenza, far diventare queste Indicazioni “obbligatorie”. Perché aver eliminato le parti che contraddicono le norme vigenti le pone al riparo da gravi contenziosi istituzionali, ma le molte altre cose che sono rimaste non le pone al riparo dalla indisponibilità di molte e di molti ad applicarle, in scienza e coscienza.
Io credo che siano molte e molti le e i docenti che non hanno nessuna intenzione di insegnare che “l’Occidente è l’unico che conosce la storia” o che l’apprendimento linguistico si fonda sul rispetto della grammatica e la calligrafia. O di separare lingua e letteratura. Per non parlare di insegnare latino. Io, fossi ancora a scuola, sul latino farei obiezione di coscienza.
Come sul dare voti, per altro, ho fatto e invitato a fare a suo tempo (Gelmini regnante).