di Simonetta Fasoli
Premetto che ho molto apprezzato l’analisi di Mario Ambel, su cui largamente concordo.
Ciò premesso, non vorrei sottrarmi all’impegno, contratto anzitutto con me stessa, di dare qualche contributo nel merito, nella convinzione che il concorso di più voci può arricchire lo scambio e sostenere il percorso delle scuole.
Per cominciare: l’edizione del documento diffusa ieri è stata contestualmente inviata al CSPI (a proposito: il testo ministeriale di presentazione sul sito ufficiale parla di CNPI, designando l’organo consultivo con la vecchia denominazione: una “svista” da correggere…).
Si tratta di un restyling non proprio pleonastico, come bene argomenta Ambel, evidenziando le modifiche apportate e i rispettivi risvolti.
Detto questo, mi sembra opportuno fare qualche riflessione su ciò che, invece, resta fermo rispetto al testo diffuso giusto tre mesi fa e oggetto di un ampio dibattito nel mondo culturale e professionale della scuola e della ricerca.
È interessante, dunque, andare a vedere “cosa” resta e “perché” siano state tracciate proprio quelle soglie: ci aiuta a capire ulteriormente il senso politico-culturale dell’operazione.
Cosa resta, dunque? Io direi l’IMPIANTO, su cui molt* di noi, critici “a ragion veduta”, avevano da subito sollevato molte questioni ed esposto altrettanti dubbi. Se è l’impianto il problema, un restyling, per quanto avveduto nei suoi singoli interventi, non può essere e non è la soluzione.
Se l’impianto, nei suoi tratti essenziali, configura un’idea ben precisa di scuola, di educazione, di strutture sociali e di professionalità, e ne emerge nel suo insieme un profilo di INEMENDABILITA, che lo rende irricevibile, allora non basta una revisione ragionevole e, per gli estensori non meno che per i committenti, per così dire “a costo zero” in termini di ricadute politico-culturali.
Se questo è lo stato dell’arte, cosa resta da fare se non attrezzarsi per affrontare le fasi che si aprono?
Nel titolo di questo mio contributo, ho scritto che “Il diavolo è nei dettagli”. Per uscire dalla metafora che appartiene al detto popolare, vorrei aggiungere che l’insieme dei dettagli compone un disegno, e una struttura (l’impianto, appunto…).
Ho attentamente letto le parti del testo che, nel loro articolarsi, costituiscono una sorta di “Premessa”.
E ho seguito un criterio di lettura analogo a quello che ho adottato, ai fini di un’analisi circostanziata, a stretto giro dalla diffusione della prima edizione (11/12 marzo): ho insomma cercato le “spie” culturali e dunque anche lessicali che tre mesi fa indicai nei miei contributi sulle IN 2025 (scritti, relazioni, interventi pubblici…).
Ecco cosa ne è emerso: lo espongo per punti con la dovuta sintesi, rinviando alle mie corrispettive sottolineature precedenti.
1) Si conferma la diade “scuola – famiglia”, con un insistito richiamo alle relative sfere di pertinenza e alla funzione essenzialmente “pattizia” che ne regola i rapporti. Scompare, è vero, la parallela distinzione “istruzione-educazione”, in regime di “separati in casa”, su cui molt* di noi (compresa chi scrive) avevano sviluppato critiche e perplessità…Ma la sostanza e la natura dei rapporti, l’idea sottesa, resta e fa parte, appunto, dell’impianto.
2) Si conferma, ed anzi viene ulteriormente aggiornata, la centralità della PERSONALIZZAZIONE come dispositivo privilegiato, in realtà unico, delle didattiche dell’inclusione. Resta in ombra l’altro criterio, quello della individualizzazione, cardine pedagogico delle politiche scolastiche volte ai processi inclusivi. Quest’ultima viene fuggevolmente citata (vedi alla voce “restyling a costo zero”…) due pagine dopo.
Così quei “nostalgici” degli anni Sessanta/Settanta che si ostinano nel loro “piccolo mondo antico” del Documento Falcucci (1975) e della L 517/77 saranno contenti…
3) Non ultimo: si insiste nella proposizione della triade “curricolo formale”, “curricolo implicito” e “curricolo di istituto”, con un preciso scopo. Le I.N. sarebbero, in questo schema, il “curricolo formale” (viene risparmiata, nella nuova versione, la locuzione nobilitante “in letteratura”…).
Il “curricolo implicito”, criterio pedagogico affermatosi nella pedagogia della scuola dell’infanzia, subisce (come ebbi modo di osservare nei precedenti miei contributi) una ardita quanto discutibile torsione di senso: diventa, infatti, il “curricolo” che ciascun alunno “porta” dai suoi contesti. A me risulta che, per una corretta accezione, in questo caso andrebbe fatta valere l’idea di “educazione non formale/ educazione informale”, che ha una sua consolidata tradizione di pensiero e di progettualità, lasciando il “curricolo implicito” all’ambito dell’intenzionalità educativa dei percorsi predisposti nei contesti scolastici per la prima infanzia . Infine, il “curricolo di Istituto”, su cui si spendono espressioni rassicuranti.
Ma stando attenti a sottolineare che ha un carattere “pratico” (??)…sia mai che le scuole autonome invadano il campo del “curricolo formale” che appartiene, in questo schema, alle Indicazioni nazionali, unica matrice giuridica e pedagogica dell’impianto curricolare.
Al riguardo, il documento parla di “connubio” tra queste tre dimensioni che vengono declinate. Se è così, allora si tratterebbe di un “connubio” di incerta natura e tra diseguali, destinato a confermare una visione centralistica, e regressiva, del sistema di istruzione e formazione.
Sul punto 3, che mi preme particolarmente segnalare, l’operazione sottesa alle I.N. 2025 non arretra di un millimetro. Con buona pace delle Indicazioni nazionali PER il curricolo, quelle del 2012/2018, che non si presentavano esse stesse come curricolo, ma ponevano le premesse e le condizioni per la progettazione curricolare delle scuole. In perfetta coerenza con i principi giuridici dell’autonomia scolastica (D.P.R . 275/99) e con la libertà di insegnamento, sancita solennemente nell’art. 33 della Costituzione.
Mi fermo qui, essendomi ripromessa di attenermi ai profili essenziali che potessero giustificare il mio assunto, che non è un pre-giudizio ma un post-giudizio.
Gli strumenti di resistenza/rilancio, da parte delle scuole, per contrastare questa operazione, ostinatamente portata avanti, sono quelli che in tante e tanti richiamiamo da mesi. Si chiamano: autonomia scolastica, libertà di insegnamento, scelte professionali adottate nei luoghi della collegialità e sostenute da pratiche di formazione di qualità. Tutto questo, a mio parere, come in altre occasioni ho argomentato, deve trovare una comunità professionale orientata a fare della progettazione curricolare di istituto il fulcro della propria azione e il luogo del dialogo con i soggetti che a vario titolo sono coinvolti nel “fare educazione”.
E le Indicazioni 2025, nella loro ultima versione “nuova ma non troppo”, potranno ingannare alcuni per un po’ di tempo, ma non tutti per tutto il tempo.