Nuove Indicazioni 2025: una operazione guidata da paura e desiderio di rivincita

di Rodolfo Marchisio

Le IN 25 si confermano, dopo un leggero restyling ed un taglio quantitativo, non una risposta alle osservazioni motivate, giunte da più parti, ma una operazione politico ideologica contro la scuola attiva, dagli anni ‘70 ad oggi, costruita da parte politica avversa.
La destra al governo (da Moratti a Gelmini a Valditara) ha sempre cercato di imporre una scuola di parte e di governo come rivincita rispetto a quanto costruito nella scuola, dall’alto e dal basso, dagli anni 70 in poi. Le IN 25 inviate al CSPI si confermano un atto politico ideologico, non pedagogico, anche quando e proprio perché cercano di spiegarsi, di smussare, di tagliare, ma senza cambiare la linea e la sostanza.
Le conoscenze più che le competenze. Insegnamento più che apprendimento.
Anche se si nascondono dietro una doppia maldestra citazione di parte, di Bloch sulla storia come nostra religione, nostro Cristianesimo e C. Levy Strauss sulla storia, il passato (il nostro) come chiave per il futuro. La storia come base per capire il presente e pensare il futuro, ma solo in Occidente.

Sono le linee della “chiusura” della “paura” – Ianes (anche paura della libertà dei docenti e dell’autonomia delle scuole) – della rivincita contro le linee 2012 che invitavano alla apertura, alla integrazione, alla multiculturalità, ad una scuola attiva che vedesse gli allievi protagonisti.

Come ha notato Brusa, per Gessetti colorati, pur cercando di spiegare e motivare, il governo non può fare il pedagogista ed imporre una filosofia o ideologia della scuola che giustifichi la “verità” di Stato (o meglio di governo), né tanto meno ridursi a quella di una docente Universitaria (Perla) o di un ex docente imperante, Galli Della Loggia.
Ci sono dei ridicoli eufemismi, come nota Maviglia, quando si parla, in questa versione, dell’incontro con le altre culture non occidentali e quindi non degne di considerazione, avvenuto nella storia. Ad esempio, attraverso il commercio degli schiavi, il colonialismo, l’imperialismo, le guerre, le Crociate? O si pensa a Marco Polo ed a pochi altri?

Oggi l’unica strada di integrazione degli stranieri, se non si è stati espulsi sul modello USA, è di imparare non solo la lingua, ma di riconoscere la supremazia della cultura occidentale (quella che ha inventato la storia, anche attraverso il Cristianesimo – ma quale Cristianesimo? – che non era proprio un gruppo di storici) e quindi di omologarsi. Con buona pace della lunga strada fatta verso la multiculturalità, l ‘integrazione e l’inclusione. Ianes.

Quando leggo questo penso al ruolo avuto dal mondo arabo nel ricordarci le conquiste dei Greci, che noi avevamo dimenticato, nei tempi in cui ci combattevamo per secoli su una terra piatta e piena di superstizione e avidità di potere. Mentre bruciavamo le “streghe” e gli “eretici” cioè chi non la pensava come i potenti, con la benedizione del Papa.

Penso invece alla scuola di Cordoba o a quella di Salerno dove filosofi e medici (tra cui donne) arabi, cristiani ed ebrei lavorando insieme davano i frutti migliori.

C’è un ritorno appena un po’ meno esplicitamente polemico e rivendicativo alla scuola anni 50: il magister da cui passa tutto e che “racconta” (trasmette conoscenze, non spiega o motiva o invita e organizza la ricerca e trasmette un metodo, cosa qui condannata come eretica ed impossibile); la lezione frontale, la narrazione più che la ricerca, la nostalgia della predella (in cui io regolarmente mi inciampavo).

E svarioni pedagogici: la personalizzazione non è l’inserimento di disabili, ma una scuola fatta per e con ogni allievo.

Il linguaggio della prima parte cerca di spiegare e motivare apparentemente, ma resta confuso, incoerente come linea tra le varie parti e come espressione (conoscere è una competenza?) e doroteo.

Ci sono errori di ortografia (nome maschile e aggettivo femminile, punteggiatura…), quella cui si dovrebbe d’ora in poi prestare più attenzione da parte di questa scuola lassista e deviata e ci sono contraddizioni; l’impressione è questa: “apriamo la gabbia: dite quello che volete. Basta che sia contro”. Sembra mancare una lettura unica ed unitaria delle varie parti che restano tessere tenute insieme solo dalla ideologia iniziale. Alcune accettabili come geografia.

Le parole per dirlo.
Le parole usate contano come la frequenza dei concetti che esprimono.
Parole IN: persona, conoscenze, magister, narrazione, insegnamento

Out: cittadino, società, solidarietà, competenze, collaborazione, apprendimento, scuola attiva e ricerca…

Verticalità c’è spesso, tanto da non capire se sia una indicazione vincolante ed unica e come.

Di interdisciplinarità non si parla più. Ritorna collegialità, ma andrebbe spiegata come, per cosa e come si concilia col magister ex chatedra onnipotente.

Significativo quante volte le parole e i concetti compaiono in un documento: quante volte persona, individuo e cittadino ad esempio nella Carta costituzionale. Nelle IN 25 Pace non c’è, Patria più spesso che nella Carta (5 a 2 Tosolini).

Abbiamo fatto questo studio con una classe di S. Donà del Piave con S. Penge e M. De Poli; con semplici software, sulla frequenza delle parole nella Costituzione.

Andrebbe fatto anche qui. Perché sono le note che fanno la musica.

Nazionalismo, Occidente e made in Italy SI; individualismo più che personalismo (non quello cristiano per carità, lasciamo in pace Mounier!) appena mitigato dal “confronto con l’altro”. Ma ipotizzando una crescita, che passa dal maestro (tutto passa dal maestro; al maschile?), ma che prospetta uno sviluppo ed una formazione autonoma e autoreferenziale dell’individuo.
Non dell’individuo nella relazione imprescindibile con il gruppo in cui vive. Moreno. O il cittadino che si forma nel clima di classe e di scuola. Losito. O del cittadino che in un ambiente di apprendimento si modifica modificandolo. Penge.

Tagli

50 pagine tra cui gli schemi/riquadri inutili (Tosolini), bene! Però manca anche il paragrafo di legame con la Ed. alla Cittadinanza. Qui non ci sono cittadini da formare, ma allievi.

La parte sul digitale (pag. 16) è molto prudente, quasi timorosa e non aggiornata: non tiene conto di quello che sta già succedendo nelle scuole, nel bene e nel male. Non prospetta il “che fare” né come andrà a finire. Però sia chiaro lo smartphone no!

Questionario.

È una operazione di marketing politico, che non spiega tra l’altro come è stato scelto il campione. Ma è chiaro che il governo si rivolge direttamente al popolo delle famiglie per essere legittimato, avendo raccolto le critiche di quasi tutte le componenti docenti, degli esperti, dell’accademia. Ovviamente in base a semplificazioni e slogan (le 3 I di Berlusconi).
D’altra parte, se più di 1/3 degli italiani che votano, votano per il governo, lo faranno anche i genitori (ed i docenti). Per questo si ipotizza una riforma elettorale: farsi legittimare, con proporzionale e premio di maggioranza, dalla maggioranza della minoranza che ci vota.

Dubbi.

Le griglie fin troppo puntuali (pag. 15 e seg.): obiettivi generali, specifici, per classe, conoscenze necessarie e competenze attese in itinere:

a- diventeranno delle gabbie?
b- sono già certo gli indici dei libri per la editoria del prossimo anno,
c- diventeranno il punto di riferimento (attraverso editoria e DS zelanti) aldilà del PTOF, della programmazione collegiale, della contestualizzazione autonoma delle scuole, della libertà di iniziativa didattica dei docenti, per i docenti pigri?

Libertà docente o prescrittività MIM, che deve “indicare” le competenze o elencare i contenuti?

La autonomia delle scuole, la libertà dei docenti, la collegialità sono spesso citate, ma con la “condizionale”. Sotto la velata spada di Damocle delle indicazioni.
Ma le LG 25 sono indicazioni o programmi prescrittivi?

Allora che fare?

  1. Analizzare i cambiamenti apportati per fornire ai colleghi strumenti di lettura e analisi più aggiornati e puntuali sui vari temi-chiave. Come sta facendo il CSPI che non darà una valutazione, ma farà osservazioni puntuali e condivisibili.
  2. Poi la parola spetta a docenti e scuole nelle collegialità della autonomia che è legge e nella libertà loro riconosciuta dalla Carta.
    Diceva il poeta: “Noi ci siamo fatti il c…, tocca a voi mostrare i denti”. R. Vecchioni.
    Ovviamente con tutto l’appoggio della Associazioni, degli Enti e degli esperti che hanno criticato in modo documentato e razionale le IN 25. E continueranno a farlo.

Una osservazione ed un auspicio.

  1. La scuola è sempre stata formata da un gruppo impegnato e trainante, che, dove forte e dove sostenuto dai DS di turno, hanno trascinato e trascina ottime esperienze; da un gruppo contrario a prescindere (per motivi politici o per pigrizia); da una palude centrale – Ambel: dediti alla macchinetta del caffè- di docenti anche non male, ma che “io devo insegnare inglese, credo di farlo bene, non mi rompere coi tuoi progetti o con la tua Ed. Civica”.
  2. I Docenti come ricorda Palermo attraverso un brano di De Bartolomeis, non sono una classe, perché pur avendo una situazione salariale demotivante (chi fa con soddisfazione il docente, e sono tanti davvero, lo fa per incentivi “intrinseci”: ci crede e anche se gli costa tanto ne trae soddisfazione). Non per motivazioni estrinseche: salari e strutture spesso scoraggianti, uno status sociale basso (spesso contestati, talora malmenati, da genitori con l’avvocato ed ora anche dai ragazzi) non hanno consapevolezza ed unità. Ammesso che si possa ancora ragionare oggi in termini ottocenteschi di “classi sociali”. Aspirano, tra le lamentele, a far parte della “vecchia, piccola borghesia” C. Lolli, mentre sono una sorta di sottoccupati o occupati di riserva. Ma in genere ognun per sé ed ognuno con la sua storia.
  3. La speranza. Io sono nel mondo della scuola “ex chatedra “dal 1969. Non ho mai visto una riforma (tranne la Tremonti/Gelmini che era un taglio alla spesa pubblica di 6,5 miliardi e basta) andare a regime. Mi auguro che per opposizione politica, sindacale e collegiale o per pigrizia, questa faccia la stessa fine. Ho visto però tante ottime scuole, ottimi docenti, motivati, ragazzi e famiglie soddisfatte. Contiamo su di loro, sempre.
  4. Intanto il CSPI, che non darà un (inutile) parere, sta facendo rilievi puntuali in sintonia col dibattito che c’è stato e con quanto sopra. Il MIM e la Perla temo faranno orecchie da mercante fingendo di non capire le critiche. Chiagni e fotti!

 

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