di Mario Ambel
Proviamo a dirlo in modo chiaro: questo non-parere (per non apparire contrari, pur essendolo) è, per il CSPI, la peggior pagina della sua già talvolta affannosa esistenza istituzionale e al contempo la conferma che questo Ministero è il più estraneo e deleterio rispetto alla storia della scuola pubblica repubblicana, se di impronta e osservanza Costituzionale.
D’altro canto, il CSPI si è in questo modo autoattribuito quella patente di inutilità e di svuotamento di senso, che alcune forze politiche hanno cercato di preparare nel tempo e che è la più eclatante fra le non applicazioni dell’autonomia scolastica: l’annullamento di un organo che non è né di autogoverno, né di controllo, ma da tempo si esercita nella frustrante pratica del “parere necessario ma non vincolante”.
Ciò nonostante resta tutta la gravità delle annotazioni e argomentazioni contenute nel “parere” contro il testo delle Indicazioni prodotte da questa maggioranza di governo.
In un recente articolo qui pubblicato, Giuseppe Bagni ha ben delineato il quadro di pesanti negatività espresse anche dalla maggioranza del Consiglio, senza per altro trovare la coerenza e il coraggio di un parere esplicitamente negativo di rigetto. Quale è stato invece palesemente espresso da altre componenti.
Del resto questa incertezza fra volontà di aprire un improbabile spazio istituzionale di riscrittura condivisa e la inevitabile scelta di restituzione al mittente ha caratterizzato anche nei mesi scorsi le reazioni di una parte delle rappresentanze del mondo della scuola, forse mosse dalla (malriposta) speranza di una improbabile possibilità di dialogo.
Ora è inutile e un po’ velleitario che Coordinatrice della Commissione e Ministro si affannino a dire che non c’è stata nel CSPI frattura e che non si sono espresse palesi contrarietà.
Le notazioni contrarie ci sono tutte, a partire dalla evidente denuncia della illegittimità istituzionale e normativa di buona parte dei contenuti del testo, e quindi della irricevibilità del testo stesso, aspetto ribadito dal pronunciamento di minoranza, di cui si è talvolta sbagliato ad omettere di evidenziare la gravità, forse attratti dalla necessità di contestare altri aspetti, di natura ideale, culturale e pedagogica.
E adesso? Come vorrà e potrà muoversi la scuola? Quali possono essere le assunzioni di responsabilità da parte delle componenti della scuola che disconoscono queste Indicazioni come terreno pertinente con la loro identità istituzionale, culturale e professionale? E che intendono esercitare pienamente la loro autonomia culturale, progettuale e didattica?
È importante che queste componenti della scuola escano ancor più esplicitamente allo scoperto ed evitino le ambiguità dei pilateschi comportamenti del loro organo di rappresentanza.
Ma va fatto presto. Già molti si stanno organizzando, ma bisogna chiudere la fase delle dichiarazioni, delle lettere ai soggetti coinvolti e agire con maggior senso di responsabilità e fermezza.
L’iniziativa che si va preparando per ottobre, per esempio, mi sembra mossa da valide motivazioni, ma francamente un po’ dilazionata nei tempi. E soprattutto: a che cosa è finalizzata? A testimoniare che esiste un’altra scuola che non è quella espressa da queste Indicazioni? Che partendo da altri presupposti politici, culturali e pedagogici altri “esperti” avrebbero scritto tutt’altro?
Questa è cosa ormai evidente, ma è questione del tutto secondaria. E francamente credo che queste componenti della scuola italiana abbiano responsabilità politiche e storiche più gravi di quella di dimostrare di esistere e di essere in buona salute.
Se la finalità dichiarata è invece quella di perseguire la salvaguardia della scuola democratica, è tempo di provare a farlo compiutamente.
La grave frattura storica e istituzionale, aperta da queste Indicazioni non è solo l’aver scritto un testo che ha sollevato una quantità esorbitante di contrarietà e riserve da parte di molti. Il problema è un altro: queste Indicazioni vanno respinte al mittente e cestinate perché sono pensate e scritte in dichiarata e vantata opposizione con i principi, le norme, la cultura, la storia e l’evoluzione della scuola pubblica del dopoguerra.
E per questo è grave che rappresentanti eletti della scuola, forse per salvaguardare la finzione e l’ormai logoro privilegio di essere ascoltati o per scongiurare un già da alcuni ordito proposito di scioglimento, non l’abbiano dichiarato in modo chiaro e netto, ma solo cercato di far capire, anche se in modo abbastanza evidente.
Che cosa va fatto – e prima di ottobre – al tempo dei collegi di inizio d’anno è predisporre e approvare da parte delle scuole delibere di motivata restituzione al Ministero di queste Indicazioni e da parte delle forze politiche, sindacali e associative è avviare la richiesta dello scioglimento di una Commissione il cui lavoro ha palesemente prodotto la conclamata contrarietà delle forze e dei soggetti orientati e attivi per la salvaguardia e la piena attuazione della scuola pubblica democratica di questo paese, con un documento che ne stravolgerebbe la natura, verso finalità che le sono estranee e palesemente reazionarie, nel senso letterale di una azione che, in opposizione a una linea di sviluppo, ne propone o dispone una inversione di tendenza, oltre tutto uscendo dai limiti di competenza che le sono imposti dalle norme vigenti.
Le scuole potrebbero anche decidere di far finta di niente e, in analogia con questi loro rappresentanti, affermare contrarietà e dissensi e poi procedere approvando le proprie progettazioni curricolari.
Ma la gravità di ciò che sta accadendo meriterebbe qualcosa di più fermo ed esplicito. Se poi si dovesse percepire che le scuole (per esempio i dirigenti scolastici) non si sentirebbero garantite nell’esercitare questo loro diritto-dovere per pressioni più o meno palesi, allora la situazione sarebbe ancora più grave.
(*) Mario Ambel, già docente di scuola “media”, poi secondaria di I grado, membro della Commissione Brocca, Coordinatore dell’area linguistico-letteraria della Commissione De Mauro, Presidente dell’IRRSAE-IRRE Piemonte (1996 – 2001).