Archivi categoria: PEDAGOGIA

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Far amare agli allievi il sapere che devono possedere


di Raimondo Giunta 

A scuola il dogmatismo metodologico dovrebbe restare fuori dalle sue mura, perché non c’è deduzione tra finalità educative e procedure didattiche; ci sono tentativi e percorsi di avvicinamento.
I principi si possono incarnare in pratiche differenti, adattabili a contesti diversi e a diversi alunni, a diversi contenuti dell’apprendimento.
Questo non significa che si è liberi da qualsiasi vincolo di coerenza ,ma che bisogna con discernimento orientarsi verso quei modelli didattici ritenuti più adeguati alle situazioni date, sapendo in partenza che a-priori non ci sono metodi universalmente buoni e sempre efficaci.

Il problema di sapere quale pratica adottare nell’insegnamento è subordinato a quello di stabilire quali apprendimenti debbano essere conseguiti dagli alunni, resi necessariamente consapevoli della loro importanza e del loro valore. Su questi obiettivi si misura la pertinenza dei mezzi e delle procedure da usare. Si raggiungono i risultati sperati, se l’alunno riesce a sentire come scoperta personale il possesso del sapere e a “rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso”(D.Nicoli).
Per questi obiettivi sarebbe auspicabile fare almeno un tratto dell’itinerario intellettuale dell’apprendimento con il modello della scoperta, che nei luoghi scolastici non può che essere inquadrato, semplificato, didatticizzato; lontano comunque dall’insegnamento ex-cathedra. “Imparare a essere scienziati non è la stessa cosa di imparare le scienze: è imparare una cultura con tutto il contorno non razionale del fare significato che l’accompagna”(J.Bruner).

Lavorare per enigmi, dibattiti, situazioni-problema, piccoli progetti di ricerca, esperimenti comporta, però, un considerevole cambiamento del modo di insegnare. Continua a leggere

Il diritto all’educazione nel mondo attuale

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Il diritto alla educazione nel mondo attuale è un piccolo volume di Jean Piaget pubblicato nel 1951 dalle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata da Adriano Olivetti.

Il volumetto faceva parte della collana Diritti dell’Uomo curata dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) ed era stato tradotto in italiano da Carla Musatti.

Nel libro Piaget affronta la questione del diritto all’educazione nel mondo attuale, diritto che, a suo parere, dovrebbe garantire che tutti gli individui abbiano accesso a un’istruzione che rispetti il loro sviluppo cognitivo unico e che promuova l’apprendimento attivo e significativo. Ciò implica la necessità di un sistema educativo che sia flessibile, inclusivo e in grado di adattarsi alle esigenze di una società in rapido cambiamento.

Un breve passaggio tratto dalle prime pagine del libro ben chiarisce cosa intendesse Piaget per diritto alla educazione:

Affermare il diritto della persona umana all’edu­cazione è assumersi una responsabilità assai più grave che non quella di assicurare a ciascuno il pos­sesso della lettura, della scrittura e del calcolo: è garantire effettivamente a ogni bambino l’intero sviluppo delle sue funzioni mentali e l’acquisizione delle cono­scenze e dei valori morali che corrispondono all’eser­cizio di tali funzioni, fino all’adattamento alla vita so­ciale attuale. Di conseguenza significa soprattutto assu­mersi l’obbligo- tenendo conto della costituzione e delle attitudini che distinguono ogni individuo – di non distruggere nè sprecare alcuna delle possibilità che egli racchiude in sè e di cui per prima la società è chia­mata a beneficiare, evitando di lasciare che se ne per­dano importanti frazioni e che altre rimangano sof­focate.

 

Il poliziotto e l’insegnante, entrambi al servizio della “salus”

di Antonio Vigilante

All’età di diciotto anni ho fatto il concorso in Polizia. Ricordo un viaggio in treno di notte, nel corridoio, una mattina al foro romano e un pomeriggio all’hotel Ergife a mettere crocette su un foglio – mi si chiedeva tra l’altro, ricordo, cos’è l’echidna – cercando di non addormentarmi. Lo superai. E per qualche giorno, dunque, mi chiesi se quella non fosse la mia via. Una uscita assolutamente onorevole per uno della mia classe sociale; e del resto il mio professore di musica a lungo aveva cercato di convincermi a lasciare la scuola, evidentemente così poco efficace con me, per fare il poliziotto, un lavoro che, in difetto di qualità intellettuali, avrebbe potuto mettere a buon frutto le mie qualità fisiche.
Decisi di no, alla fine. Avevo cominciato l’università e i primi due esami erano andati molto bene. Forse qualche qualità intellettuale c’era.

Ho ripensato a quel bivio in questi giorni. Alcuni studenti manganellati dai poliziotti in una manifestazione pacifica. Una cosa che ha indignato tutti gli insegnanti. E nei comunicati delle scuole emerge una certa visione della scuola come alternativa radicale alla violenza: il luogo in cui ci si educa al dialogo, alla nonviolenza, al confronto costruttivo, ai valori democratici: eccetera.

Ora, sarà per colpa di quel bivio, ma mi capita spesso di pensare che io e il poliziotto che avrei potuto essere procediamo in parallelo, se non proprio fianco a fianco.
È colpa anche, a dire il vero, di Althusser e della sua teoria degli Apparati Ideologici di Stato.
Mi capita di chiedermi se, oltre a lavorare entrambi per lo Stato, non si faccia entrambi, in fondo, la stessa cosa: difendere, puntellare, giustificare lo stato di cose esistente. L’assetto sociale, le stratificazioni di classe, le differenze di status, le intermittenze del riconoscimento. Per dirla con Galtung, che è venuto a mancare qualche giorno fa: la violenza strutturale. E, per aggiungere Galtung ad Althusser, siamo sicuri di non avere a che fare, in quanto insegnanti, con quella violenza culturale che giustifica e fonda sia la violenza strutturale che quella fisica? Continua a leggere

L’economia dell’istruzione non ha titolo per parlare dei saperi del curriculum

di Raimondo Giunta

Cos’è l’economia dell’istruzione

Nel DNA di questa disciplina c’è l’impulso a rendere efficiente la spesa pubblica per l’istruzione e spesso c’è anche la preoccupazione a non aumentarla.
Alcuni suoi cultori, tra le tante affermazioni che fanno, sostengono che non è più sostenibile l’idea che non si debba cambiare la composizione della spesa pubblica per l’istruzione e che questa debba solo crescere. Le risorse per l’istruzione che bisogna strappare all’avidità di altri reparti dello Stato devono essere spese bene, senza sprechi, in modo efficace e ogni innovazione, così come il mantenimento dell’esistente, devono essere sottoposti ad una rigorosa analisi dei costi. Ma è davvero facile definire l’impiego ottimale delle risorse in campo educativo?
Ci sono delle difficoltà e “queste sorgono già nell’identificazione di una metrica comune delle variabili influenti sul prodotto scolastico; emergono nella valutazione delle relazioni fra output e input per individuare la combinazione efficiente di fattori e permangono nella determinazione delle soglie dimensionali e dei criteri organizzativi per l’impiego efficiente dei fattori”(Ugo Trivellato).

A queste difficoltà si aggiungono poi problemi operativi nel tradurre acquisizioni concettuali in interventi nella realtà.  Alle stesse conclusioni arriva E.  Somaini nel suo testo “Scuola e mercato”
L’autore tiene a sottolineare “che non tutte le modificazioni nel soggetto sono risultati dei processi formativi, perché sono influenzati in modo significativo da una serie di fattori di origine naturale, ambientale e sociale, che si manifestano gradualmente e lungo un arco esteso di tempo e che malgrado queste difficoltà, logiche e di misurazione l’adozione (con le dovute cautele) di un approccio produttivistico è auspicabile e ……..  anche possibile”.
Appunto auspicabile e possibile. Non credo che lo statuto epistemologico della disciplina abbia superato questi limiti.

Una teoria economica dell’istruzione, che non abbia eccessive ambizioni, aiuta a orientarsi nelle scelte degli investimenti più efficaci per il miglioramento del sistema formativo, anche se non sono esattamente quantificabili i loro effetti produttivi reali e potenziali.
Aiuta, anche, a comprendere che cosa comporta in termini di sviluppo economico un mancato livello d’istruzione della società, ma non può parlare con autorità sui saperi dell’istruzione che si ritengono necessari per la generalità di tutti i giovani che devono andare a scuola. Precauzione, questa, svanita nel corso degli anni, tant’è che molti cultori dell’economia dell’istruzione continuano a lanciare proclami sui “prodotti “scolastici necessari, redditizi e vantaggiosi per tutti. Continua a leggere

Classi aperte e laboratori

di Giancarlo Cavinato

una scuola comunità
si può fare…scuola al di fuori della classe

Le finalità educative previste dalle Indicazioni Nazionali  possono essere assorbite e soddisfatte completamente nel chiuso di una classe? Noi riteniamo indispensabile l’apertura, la dinamica del comporsi e ricomporsi di gruppi diversi: per età, per incarichi, per percorsi.

 

Nel convegno di Reggio Emilia del 1976 sulla scuola a tempo pieno Daria Ridolfi scriveva: ‘’Noi vogliamo una scuola piena, articolata, multiforme, capace di accogliere ogni bambino con la sua storia, la sua cultura, i suoi interessi, e di porlo in un rapporto utile e stimolante coi coetanei, con gli insegnanti, con l’ambiente.[1]

La proposta che il Movimento di cooperazione educativa sta portando avanti prevede un’articolazione degli spazi e dei tempi della scuola sul modello delle classi aperte.
L’idea che intendiamo sostenere è la proposta di unità tematiche trasversali che affrontino dal punto di vista di diversi approcci disciplinari aspetti della realtà su cui fare ricerca. Non, quindi, un repertorio o un catalogo di obiettivi come nel caso  delle UDA, che rischiano a volte di  ricalcare  le programmazioni tassonomiche, ma una progettazione in itinere fatta di esperienze basate su interessi e motivazioni e di possibili direzioni di sviluppo. Un tema, un aspetto della realtà, può essere affrontato secondo diverse angolature (‘teatri cognitivi’) e con diversi materiali e strumenti a disposizione: leggendone gli aspetti letterari, artistici, musicali, matematici, scientifici, tecnologici, attraverso il coinvolgimento di tutti i sensi, delle emozioni, del corpo, e conseguentemente consentire di produrre diversi tipi di elaborazione da comunicare ad altri: testi, copioni, filmati, e-book, scenari, canti, danze, esperimenti e strumenti per la rilevazione di dati, …. Continua a leggere

A scuola senza bussola

di Giovanni FioravantiStefanel

Per il Censis siamo affetti da sonnambulismo, precipitati nel profondo sonno della ragione che continuerà a  generare mostri, se non ci riscuotiamo.
Non sappiamo che cosa ci sta accadendo, ed è precisamente questo che ci sta accadendo” è la celebre frase di José Ortega y Gasset, che Edgar Morin ha posto, due anni or sono, ad epigrafe del suo Svegliamoci!

Per il filosofo francese è necessario trovare una bussola per orientarci nell’oceano dell’incertezza in cui vaghiamo come sonnambuli. Una bussola che ci aiuti a comprendere la storia che stiamo vivendo.

E qui sta la difficoltà. Ad uscirne dovrebbero aiutarci i nostri sistemi di istruzione i quali, benché rincorrano i cambiamenti del tempo, restano però nella sostanza identici a se stessi, ancora espressione di culture da noi ormai lontane, tanto da essere impotenti a generare nuovi modelli di pensiero, indispensabili al benessere e alla sopravvivenza dell’umanità.
Con l’ingresso nel nuovo secolo credevamo che si sarebbero aperti nuovi orizzonti, nuove prospettive fondate sulla potenza dei saperi e della scienza. Pensavamo che l’Antropocene potesse conoscere un’epoca di rigenerazione ambientale e sociale, di nuova umanizzazione, di solidarietà e coesione, un nuovo spirito comunitario come alternativa alla esclusione e alla devitalizzazione suicida del tessuto sociale. Continua a leggere

L’alfabeto della lingua

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a cura del Gruppo Nazionale Lingua MCE

Un tempo in diversi Paesi europei le più remote località erano raggiunte dai ‘colporteurs’, venditori ambulanti che offrivano le più svariate tipologie della cosiddetta ‘letteratura di colportage’, libretti morali, immagini e stampe, testi di canzoni, testi religiosi, storie cavalleresche e romanzi diffusi a puntate.
Oggi le tecniche di diffusione sono molto più raffinate, ma è con lo stesso spirito che come Gruppo Nazionale Lingua MCE intendiamo diffondere un’idea di lingua e di educazione linguistica di cui si riscontra un gran bisogno- e una grande assenza- nella scuola.
Si tratta dell’idea di lingua delineata nel Manifesto ‘Educare alla parola’, nelle ‘Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica’ del Giscel, nelle pubblicazioni curate dal MCE nelle collane Narrare la scuola e RicercAzione.
Contiamo con ciò di contribuire a fare chiarezza sulle teorie, esplicite e implicite, che stanno alla base delle molteplici modalità con cui nella nostra scuola è stata e viene ‘insegnata’ la lingua italiana.
Nella varietà e diversità di teorie, modelli, pratiche, abbiamo scelto una serie di ‘voci’ che pensiamo possano aiutare l’insegnante ad orientarsi e a scegliere, nella scuola, approcci e percorsi con consapevolezza.
L’insieme consiste in una serie di  fascicoli, ciascuno contenente alcune  ‘voci’.

Per saperne di più puoi partecipare al webinar in programma per il giorno 11 marzo con inizio alle ore 17.30.
Per iscriversi, compilare il form disponibile qui

VOLUME 1

VOLUME 2