Indicazioni 2025, il CSPI formula un parere-non parere

di Beppe Bagni

Non era mai successo; di norma era sempre presente un giudizio finale complessivo, positivo benché vincolato all’accettazione delle modifiche richieste, oppure negativo. Questa volta il Consiglio formula numerose osservazioni che rappresentano critiche sostanziali al testo, ma senza trarre la logica conclusione di esprimere un parere negativo.Evidentemente è mancata la volontà di prendere una chiara posizione rispetto alle critiche che si sono levate dal mondo della scuola e dell’università (ma anche da tanto mondo associativo del sociale), molto probabilmente per la difficoltà di fare sintesi tra le diverse componenti presenti nell’attuale Consiglio. D’altra parte la stessa approvazione avvenuta senza unanimità conferma che le tensioni interne non devono essere state trascurabili.

È un peccato, perché il documento approvato dice molte cose importanti.

La prima osservazione è forse politicamente la più pesante, visto che in premessa il Cspi fa notare al Ministro e alla Commissione che ha steso le IN25, che con l’Autonomia scolastica “i programmi validi a livello nazionale non hanno più avuto ragione d’essere e hanno lasciato lo spazio a piste di lavoro..” che costituiscono il curricolo, che “rappresenta lo specifico di ciascuna scuola”.  Non è roba di poco conto che debba essere il Cspi a ricordare (e in un documento ufficiale) al Ministro che da qualche anno c’è una legge che responsabilizza direttamente le scuole sulle scelte di curricolo e nessuno può interferire.

E il Consiglio in seguito ritiene necessario ribadire il concetto e chiede lo spostamento delle conoscenze in un box in appendice. “Le conoscenze inserite dopo gli obiettivi rischiano di essere considerate prescrittive” e “la declinazione delle conoscenze rinvia alla logica del programma. Un eventuale utilizzo pedissequo delle conoscenze può stridere con l’autonomia scolastica.”

Anche da punto di vista culturale il parere risulta muovere critiche pesanti, in particolare quando ricorda il legame esasperato e fuorviante che il testo stabilisce tra cittadinanza e identità nazionale: il contesto europeo e mondiale – sottolinea il parere – sparisce riducendosi a un problema di conoscenza dell’inglese e di una seconda lingua comunitaria.
Il Consiglio non è indulgente nemmeno sul piano pedagogico, in quanto chiede che venga sostituita l’espressione dove si dice che la scuola è “la sede principale di trasmissione di conoscenze” con “sede principale per la co-costruzione degli apprendimenti”.
Una richiesta che non ha niente di straordinario, perfettamente in linea con le attuali acquisizioni della pedagogia, quello che è invece straordinario e allarmante è che debba essere ricordato agli insigni studiosi che hanno elaborato le IN25.
Altra strigliata arriva sul significato improprio dato alle conoscenze, visto che in alcune discipline “risultano declinati aspetti metodologici, strumenti e considerazioni più che le conoscenze. E aggiunge che “l’accento marcato sulle conoscenze fa emergere, inoltre, una scuola dell’insegnamento trasmissivo..”
Insomma, il Consiglio boccia decisamente il modello pedagogico che ispira le IN25, ne è ulteriore prova la critica al paragrafo “Insegnante professionista e Magister”, in quanto “l’autorevolezza del “Magister” appare dovuta a priori, che non deve essere conquistata, che nasce dal suo ruolo. In questo senso emerge la scuola dell’insegnamento, a scapito della scuola dell’apprendimento”.

Il Consiglio non manca di criticare la proposta nel campo disciplinare della Storia dove è “totalmente eliminato l’ambito della lettura e dell’interpretazione delle fonti, che è stato un punto fondamentale dello studio della storia nelle scuole.”. E sottolinea come il trattamento che è stato riservato alla Storia nel testo faccia sì che tutto il capitolo “si distingue per impostazione rispetto al resto del testo, assumendo una peculiarità tra le discipline.” E aggiunge una sacrosanta critica all’incipit, che “potrebbe essere percepito come polarizzante e la finalità dell’insegnamento della “Storia” sembrerebbe accentuare la dimensione della disciplina come strumento per la costruzione di una identità nazionale..”.
Ci sono nel parere del Cspi anche osservazioni  e richieste che appaiono poco pertinenti rispetto al testo in discussione, come la necessità di figure di sistema aggiuntive nella secondaria di primo grado, probabilmente questo deriva dalla presenza nel Consiglio di componenti che hanno sensibilità molto diverse tra loro, un indubbio elemento di ricchezza ma che può diventare un limite se i pareri  diventano la sommatoria di interessi particolari.

Resta il rammarico per un parere che non esprime nessun parere.

 

 

 

 

 

 

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La giornata della libertà senza libertà

[caption id="attachment_3287" align="alignright" width="319"] disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Giuseppe Bagni

(per gentile concessione dell’autore e della rivista Insegnare) Non sorprende che il nuovo governo riproponga il mantra storico delle destre sul comunismo e la sua storia, sorprende che lo faccia il Ministro dell’istruzione che sarebbe tenuto a garantire la libertà di insegnamento e la qualità dell’apprendimento nella scuola. Il ministro con la sua lettera ci offre un ottimo esempio di quello che non deve mai fare un insegnante: dare un giudizio sul passato e imporre una visione ufficiale della storia invece che garantire gli strumenti per saperla leggere. La scuola, in un paese democratico, si fonda sul pluralismo delle idee, sulla piena libertà di esprimerle e metterle a confronto. Se proprio vuol scrivere di storia, il Ministro si ricordi che essa ci insegna che è caratteristico dei paesi non democratici proporre un’ideologia di Stato e avere ministri incaricati della propaganda. Il professor Valditara lasci le lezioni agli insegnanti. Che se tratteranno del percorso accidentato e tortuoso della libertà nella storia parleranno della caduta del muro di Berlino come il momento di una svolta epocale, non dimenticando tutti i momenti che nella storia europea, e anche del nostro paese, hanno segnato l’avvento di regimi nemici della libertà e della democrazia. Non possiamo non commentare le parole del Ministro, ma vorremmo evitare di commettere ancora una volta l’errore di inseguire l’agenda delle priorità che stabilisce il governo. Prima il nuovo Ministero del Merito, poi la Giornata della Libertà. Non sono questi i problemi veri della scuola, tantomeno del Paese. Queste sono uscite identitarie alla pari del decreto “rave”, delle navi Ong e migranti, dell’ergastolo ostativo, del tetto al contante, delle trivelle libere, dei medici novax in corsia, e degli altri provvedimenti che arriveranno con la stessa logica. Segnali di fumo per indicare il cambiamento, ma anche tanto fumo negli occhi che testimonia un’impotenza verso le emergenze e i problemi reali. Ma vogliamo davvero parlare di “libertà”? Se il ministro permette, gli spieghiamo noi qual è la libertà che vogliono i nostri ragazzi e le nostre ragazze. La libertà di immaginare un futuro dove realizzare le proprie aspettative, che liberi dalla prigionia di un presente fatto di lavoro precario senza un domani. La libertà di vivere al sud e nelle tante altre zone “disagiate” del nostro Paese senza portarsi sulle spalle quel disagio per tutta la vita. La libertà di crescere in Italia senza dover scappare all’estero per trovare uno straccio di lavoro dignitoso. Oggi gli italiani che se ne vanno sono più degli stranieri che arrivano e dei fuggiti dall’Italia 1,2 milioni hanno tra i 18 e i 34 anni. La libertà di sentirsi a casa nella propria scuola, “meritevoli tutti” di essere accompagnati fino dove consentiranno le potenzialità di ciascuno e ciascuna. Non serve loro una Giornata della Libertà, serve una prospettiva di libertà. La storia è importante, ma non festeggeranno la caduta di un muro del passato quando tanti se li trovano davanti nel presente e tanti ne troveranno nel futuro.
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